Spedali Riuniti di Livorno
Giampoalo Zucchelli, Federico Zucchelli

Il nuovo nosocomio di Livorno fu inaugurato il 1 novembre 1931, a distanza di nemmeno 2 anni dalla posa della prima pietra avvenuta il 5 novembre del 1929. Alla solenne cerimonia parteciparono i "reali" Vittorio Emanuele III ed Elena di Savoia, Costanzo Ciano (al quale il consiglio di amministrazione aveva deciso all'unanimità di intitolare il nuovo ospedale), autorità nazionali e locali, alti ufficiali, scienziati e artisti. "Liburni civitas" così descrisse la cerimonia: "Una fiumana di popolo, impaziente di acclamare i sovrani, felici di vederli vicino a sé, partecipante al giubilo cittadino per la magnifica opera che viene quasi a consacrare l'accresciuta importanza di Livorno e la sua progressiva espansione, aveva preso posto in tutti i reparti, si accalcava nei piazzali, nei vicoli, nei giardini. Tutta la famiglia ospedaliera, presidente, commissari, sanitari, suore, personale di servizio, era adunata nel vestibolo, tra una elevatissima folla di autorità, in attesa dei sovrani. La regina Elena tagliò il nastro che sbarrava l'ingresso con artistiche forbici d'oro ed il folto gruppo delle autorità entrò nel piazzale, retrostante il palazzo di amministrazione e, tra due fitte "siepi umane", sotto una pioggia di fiori, si fece avanti per dirigersi verso la chiesa, dove venne celebrata una messa dal vescovo mons. Giovanni Piccioni”. La "Gazzetta ufficiale" del 25 ottobre del 1938 pubblicò il Regio decreto firmato, il 30 settembre, a San Rossore da Vittorio Emanuele III e da Benito Mussolini con il quale si permetteva e alle autorità locali e a quelle nazionali di rendere operante il nosocomio di Livorno con la qualifica di ospedale di prima categoria. In quella classe erano ammessi soltanto quegli ospedali "con una media giornaliera di oltre 600 degenze" costituiti da "re­parti separati per malati di medicina e chirurgia con distinte divisioni almeno per la specialità di Ostetricia e Ginecologia, di Pediatria, di Oculistica, di Otorinolaringoiatria, di Urologia, di Ortopedia e Traumatologia, salvo che a dette specialità non avessero provveduto istituzioni locali". La decisione di costruire un nuovo ospedale era stata assunta dall’’Amministrazione nella seconda metà degli anni ‘20 allorché l’ospedale di S. Antonio, malgrado le ristrutturazioni, non era più in grado di far fronte all’afflusso dei malati (la Provincia di Livorno, per decisione governativa, aveva ampliato i propri confini inglobando molti comuni precedentemente posti sotto la giurisdizione di Pisa). Contribuirono a far sentire questa inderogabile necessità anche le accresciute esigenze igienico-sanitarie, le migliorate metodologie di assistenza e cura (per le migliori acquisizioni tecnico-scientifiche), le specializzazioni nell'ambito della medicina e della chirurgia. Non mancarono però le voci discordanti e le critiche negative, si disse che il progetto del nuovo ospedale “a padiglioni” era troppo esteso, monumentale, dispersivo e mal si adattava ad una città piccola come Livorno. Gli amministratori di allora (nominati nel 1926) decisero però per la costruzione di un nuovo ospedale e venne pertanto acquistato per la somma di 715.000 £ un terreno di circa 9 ettari, situato in una zona che andava dall'antica "Barriera Vittorio Emanuele" alla via Porta alle Colline (l'attuale via Gramsci), di cui era proprietaria la baronessa Andreina Ciotta nei Von Teucher. L'area prescelta per la costruzione del nuovo ospedale "presentava tutte le garanzie di salubrità per la sua ubicazione, in zona apertissima, con scarse fabbricazioni, di fronte ad una corona di colline che si affacciano sul litorale del Tirreno". Così si esprimeva la commissione nominata dalla amministrazione ospedaliera, costituita da eminenti personalità tecniche, che approvò il progetto elaborato dall'architetto prof. Ghino Venturi di Roma, confermando peraltro l'architettura dell'ospedale a fabbricati multipli denominati padiglioni. Il consiglio di amministrazione affidò alla ditta dell'ing. Valventi di Milano e alla società edile "ll Tirreno" di Gastone Domenici e c. i lavori del nuovo ospedale. La capacità del nosocomio doveva essere di 1500 letti, I padiglioni dovevano essere distanziati fra loro da un minimo di 23 ad un massimo di 38 metri. Il collegamento fra padiglioni si attuava attraverso un sistema di corridoi dei quali, uno sotterraneo, un altro normalmente allo stesso livello del pian terreno e un altro ancora sopraelevato. Nell'edificio principale, prospiciente il viale Alfieri, erano ubicati i gabinetti di biologia e radiologia, la farmacia, l'ufficio di amministrazione e la casa di salute . A distanza di questo nucleo centrale erano disposti, i 16 fabbricati che costituivano il nuovo nosocomio.

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